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Diritto alla disconnessione: le norme che tutelano i lavoratori in smart working

Scritto da Nfon | 7 dicembre 2021

In cosa consiste il diritto alla disconnessione e qual è il quadro normativo in Italia e in Europa

Complici il lockdown e i passi da gigante nel mondo della tecnologia, il mondo del lavoro è diventato sempre più digitalizzato e interconnesso. Nell’anno appena trascorso, molti lavoratori hanno sperimentato il lavoro da remoto che, se da una parte annovera un lungo elenco di benefici, dall’altra può contenere aree di problematicità. 

Lavoro da remoto: che cos’è il diritto alla disconnessione?

Lavorare da casa potrebbe indurre il dipendente a una connessione continua e una reperibilità sulla chat aziendale anche fuori dall’orario di lavoro. È per questo che l’ordinamento italiano con la Legge 6 maggio 2021, n. 61, di conversione del decreto legge 13 marzo 2021, n. 30, entrata in vigore il 13 maggio 2021 ha introdotto il diritto alla disconnessione da parte dello smart worker. 

Si tratta del diritto del lavoratore a non rispondere alle richieste telematiche avanzate dal proprio superiore al di fuori dell’orario di lavoro, senza subire ripercussioni.

L’intervento del legislatore si inserisce nella direzione già tracciata dal Parlamento Europeo che, con la “Risoluzione del 21 gennaio 2021 recante Raccomandazioni alla Commissione sul diritto alla disconnessione”, ha invitato gli stati membri a riconoscere questo diritto come “fondamentale”.

Diritto alla disconnessione in Italia: il quadro normativo

Un primo passo verso il diritto alla disconnessione era già avvenuto con la legge del 2017 che disciplina lo smart working, ma è solo con la legge di maggio 2021, che la disconnessione da strumentazioni digitali viene riconosciuta come diritto del lavoratore in modalità agile. Questo diritto serve a tutelare i tempi di riposo e la salute dello smart worker. 

Nel corso di una audizione alla Commissione lavoro del Senato del 13 maggio dello scorso anno, infatti, il Garante privacy aveva sottolineato come senza tale diritto si perdeva la distinzione tra vita privata e lavorativa, che è tra “le più antiche conquiste raggiunte per il lavoro tradizionale”. 

Il diritto alla disconnessione garantisce inoltre che il suo esercizio da parte dello smart worker non porti a ripercussioni sul rapporto di lavoro o sui trattamenti retributivi e previene eccessi di controllo da parte del datore. 

Diritto alla disconnessione: l’intervento del Parlamento Europeo

A tracciare le basi in questa direzione era stato il Parlamento Europeo che il 21 gennaio 2021 aveva evidenziato gli effetti negativi di un uso smisurato degli strumenti digitali sulla salute e sul benessere dei lavoratori in modalità agile. 

Un eccesso di lavoro da remoto, infatti, potrebbe provocare disturbi del sonno, fenomeni di ansia, esaurimento emotivo e burnout. Non solo. Il lavoratore iper connesso, seduto davanti a uno schermo per ore, potrebbe riportare problemi di vista e andare incontro a un indebolimento dell’apparato muscolo-scheletrico. 

Secondo un'indagine della Fondazione Studi dei consulenti del lavoro, uscita il 20 maggio 2021, sebbene si sia registrata un’inversione di tendenza rispetto al numero degli infortuni nel tragitto casa-lavoro nel 2020 e nel primo trimestre di quest'anno, quasi la metà degli occupati che lavora da casa ha lamentato problemi fisici e aumento di stress.

Per questo il Parlamento ha invitato la Commissione Europea a elaborare una normativa che riconosca il diritto alla disconnessione. E per questo, quello che si sta sempre più facendo strada nelle aziende, è un modello ibrido di lavoro, che prevede l’alternanza tra periodi in presenza, fondamentali tra l’altro per cementare lo spirito di squadra, e periodi da remoto.