Servono a mappare il territorio, a farci conoscere meglio le nostre città, la loro composizione demografica, i flussi che le attraversano e molto altro: si tratta degli Open Data, dati non sensibili e messi a disposizioni dei cittadini dagli enti della pubblica amministrazione.
Per facilitarne l’accesso, il Governo ha creato un portale dedicato, dove i dati sono raggruppati in diverse categorie: agricoltura, silvicoltura e prodotti alimentari, economia, cultura e istruzione, energia, ambiente, governo e settore pubblico, giustizia, salute, tematiche internazionali, regioni e città, popolazione, scienza, tecnologia e trasporti.
In concreto, che cosa dicono questi dati del nostro territorio? Ci dicono molto: ci spiegano, ad esempio, quanti e quali alberi ci sono nelle nostre città, dove si trovano le aree predisposte al passeggio dei cani. Raccontano qual è la percentuale di lavoratrici presenti in un’università, la composizione, in base all’età e al genere degli impiegati, della pubblica amministrazione di un determinato comune; qual è la posizione e la diffusione del servizio di Wi-Fi pubblico, qual è la diffusione della rete elettrica. E molto altro.
Il portale è gestito dall’Agenzia per l’Italia Digitale, l’agenzia tecnica della Presidenza del Consiglio che ha il compito di guidare la pubblica amministrazione nell’implementazione della strategia per la trasformazione digitale del Paese. In tale strategia, che ruolo hanno gli Open Data? La possibilità di avere accesso a tali informazioni con un semplice click e in forma gratuita (senza dover richiedere un permesso) facilita una partecipazione attiva alla vita del Paese da parte dei cittadini e delle imprese.
Tali dati, infatti, possono essere utilizzati anche a scopi commerciali. Ricordiamo che non si tratta di dati sensibili: gli Open Data, ad esempio, possono dare informazioni riguardo ai servizi e ai dispositivi utilizzati dagli utenti in un determinato comune, ma non danno informazioni relative alle loro generalità.
Recentemente, l’Agenzia delle Entrate ha adottato un nuovo regolamento con cui si autorizza l’utilizzo, anche per scopi commerciali, delle mappe catastali. Un’azienda, ad esempio, potrebbe utilizzare queste mappe, integrandole con altri dati geografici, per creare una mappa dinamica. Pensiamo, ad esempio, ai servizi di sharing mobility che, attraverso le loro app, forniscono una mappatura della posizione dei loro veicoli sul territorio comunale. Sempre nell’ambito delle mappe dinamiche, altro esempio di utilizzo di Open Data è nei servizi di aggiornamento, in tempo reale, delle situazioni atmosferiche sui percorsi sciistici e di trekking delle zone alpine.
I benefici che gli Open Data possono recare all’economia sono sia di tipo diretto che indiretto. I benefici diretti si riconducono alle entrate e agli impieghi che il mercato dei Dati Aperti può creare nella produzione di servizi e prodotti.
L’avanzamento di questo mercato in Europa è stato analizzato nel rapporto “L’impatto economico degli Open Data” del 2019, realizzato dal Portale Europeo per gli Open Data (EU ODP), istituito dalla Commissione Europea nel novembre 2015.
Secondo il rapporto, il valore di questo mercato è di oltre 184 miliardi di euro ed entro il 2025 oscillerà tra i 200 e i 334 miliardi. Per quel che concerne gli impiegati in questo settore, nel 2019 erano circa 1,09 milioni di persone, con un potenziale di crescita per il 2025 tra 1,12 e 1,97 milioni.
Secondo lo studio, i settori che più hanno beneficiato finora dell’utilizzo dei Dati Aperti sono la pubblica amministrazione, i trasporti, la scienza e la tecnologia, l’information technology e la comunicazione. I settori dove l’utilizzo degli Open Data potrebbe comportare maggiori benefici sono invece l’agricoltura, il settore finanziario e assicurativo, la salute, l’educazione, il retail e il real estate.
Per quanto riguarda la domanda di accesso agli Open Data da parte dei privati, i dati maggiormente richiesti sono quelli relativi alla mobilità, agli orari dei servizi, alla criminalità, al meteo, alla qualità dell’aria e dell’acqua (e in generale dati relativi alla gestione ambientale), i dati sui finanziamenti pubblici, sul catasto e sui consumi.
Il rapporto misura i progressi del mercato dei Dati Aperti nei vari Paesi dell’Unione, secondo quattro parametri: politiche (regolamentazione e implementazione delle strategie nazionali), portale (riferito agli strumenti messi a disposizione dei cittadini per accedere a questi dati e al livello di utilizzo dei portali nazionali), impatto (che misura il livello di consapevolezza dei cittadini sui dati e quanto questi vengano utilizzati nei vari settori economici) e qualità dei dati (quanti enti mettono a disposizione i dati e se questi vengono aggiornati regolarmente).
A ciascuno di questi ambiti viene assegnato un punteggio in percentuale (da 0 a 100%), secondo il quale i Paesi vengono divisi in beginner (principianti), follower, fast tracker e trend setter. Nel 2018 il nostro Paese si posizionava come “trend setter” in Europa, dietro a Spagna, Francia e Irlanda.
Nonostante il peggioramento registrato nel 2019 (dove l’Italia era scivolata in ottava posizione, passando da trend setter a fast tracker), ci piazziamo ancora ben al di sopra della media dell’Unione in tutti gli ambiti analizzati: per le politiche di riferimento e di gestione dei dati registriamo, infatti un punteggio di sviluppo dell’86% (contro la media europea del 74%), del 72% in termini di qualità dei dati (contro una media dell’Ue del 65%) e del 78% (vs il 57% dell’Ue) in termini di impatto degli Open Data, mentre per quanto riguarda la presenza di un portale di raccolta e diffusione dei dati il punteggio è più scarso (70% contro il 67% della media europea).
Tuttavia, se l’impatto che l’utilizzo di questi dati ha nella gestione della società e dell’ambiente è superiore alla media europea, l’impatto sull’economia rimane ancora limitato.
Pare dunque che le imprese italiane non colgano ancora appieno i vantaggi degli Open Data. Quali sono le cause di questo mancato sviluppo? Secondo gli esperti, le ragioni sono riconducibili alla discontinuità con cui alcuni enti della PA che forniscono questi dati, alla mancanza di profili specializzati e di conoscenze specifiche.
In un rapporto del 2018 realizzato da Unioncamere, si evidenziava che il 77% delle imprese manifatturiere intervistate aveva dichiarato “cruciale” l’uso degli Open Data per il business. Tuttavia, veniva rilevato un forte disallineamento tra la percezione e l’utilizzo reale delle figure professionali utili: infatti, il 70% delle aziende sosteneva di essersi dotata di strumenti e competenze per il data management, ma in realtà il 68% non conosceva l’esistenza di figure professionali come il Big Data Analytics specialist (presente solo nel 13% del campione analizzato), il Chief Data officer (8%), il Data Scientist (5%) o il Big Data Architect (5%).
Se è vero che questa consapevolezza è maturata nel corso degli ultimi anni, va sottolineato che le aziende faticano tuttora a dotarsi delle competenze giuste in questo campo: l’ultimo rapporto DESI (Indice della digitalizzazione dell’economia e della società elaborato dalla Commissione Europea) relativo al nostro Paese, evidenziava la pesante carenza di capitale umano, con solo il 2,8% della forza lavoro specializzata in tecnologie dell’informazione e della comunicazione.
Un gap, evidenziato anche nello studio dell’Osservatorio eGovernment della School of Management del Politecnico di Milano, dove si evince che il 42% degli intervistati attribuisce la difficoltà del reperire i dati a una carenza di risorse umane. Un problema non da poco, se si pensa che secondo i dati dell’EU ODP, nel 2018 soltanto il 33% dei dati veniva prodotto in modo automatico da un software, mentre per il resto dei casi la pubblicazione avveniva dopo l’intervento di almeno un operatore.
Nonostante siano stati fatti dei passi in avanti sui Dati Aperti, rimangono ancora diverse sfide da superare, come sottolinea anche il “Quarto Piano di Azione Nazionale per l’Open Government” relativo al periodo 2019-2021. Sfide, che riguardano soprattutto la diffusione di una maggiore conoscenza dell’importanza degli Open Data e del loro utilizzo, ma anche interventi necessari per la standardizzazione dei dati.