Con un’occupazione femminile al 52%, un gap salariale del 18% rispetto agli uomini, e quasi 2 donne con figli su 3 senza lavoro, l’Italia è una delle nazioni europee che registra le performance peggiori quando si parla di donne e lavoro. Lo dicono le ricerche: l’ultima, del World Economic Forum, che ha evidenziato i livelli di occupazione nei Paesi europei, vede l’Italia in penultima posizione (52%, dietro di noi solo la Grecia con un 48%) a fronte di una media europea di 66,5 donne occupate ogni 100 tra i 20 e i 64 anni. E se poi si parla di figli, il gap occupazionale con gli uomini aumenta: rispetto a una media europea di 19 punti percentuali tra padri e madri occupate, l’Italia si trova al di sopra, con ben 10 punti (28,1%).
Eppure, secondo gli studi internazionali, la piena occupazione femminile genererebbe più ricchezza: per ogni milione di lavoratrici il PIL crescerebbe del 3%, senza contare aspetti come l’incremento della natalità (quando una donna lavora, nascono più figli) e della felicità (le donne che lavorano sono più felici). E se il tasso di occupazione femminile raggiungesse quello maschile (il 70%) il PIL arriverebbe a crescere fino al 20%. Una vera occasione mancata, se si pensa che secondo un recentissimo studio del Fondo Monetario Internazionale, la “disparità economica di genere” causerebbe oggi in Italia una perdita di PIL del 15%, percentuale che ci inserisce nella triste classifica dei Paesi in cui questa perdita è tra le maggiori al mondo.
Ma quali sono le difficoltà per una donna che vuole entrare nel mondo del lavoro? Persistenza di vecchi stereotipi, difficoltà ad accedere a posizioni di rilievo, ma soprattutto il bisogno di conciliare tempi di vita privata e lavorativa (circa 1 mamma su 9 in Italia non ha mai lavorato, e il 38% dichiara di aver rinunciato ad opportunità professionali per le esigenze famigliari e la cura dei figli). Così, il gap cresce, allontanando sempre di più la popolazione femminile dal mondo del lavoro.
Molti studi dimostrano che l’introduzione dello smartworking può contribuire a migliorare decisamente la situazione, promuovendo un maggiore equilibrio tra vita e lavoro e favorendo quindi anche quelle donne sulle cui spalle ancora si carica il peso esclusivo della cura dei figli e della casa. Secondo per esempio il Rapporto 2019 Welfare Index PMI, lo smartworking non solo incrementerebbe la produttività, ma aiuterebbe i dipendenti a conciliare vita privata e lavorativa, grazie a un’organizzazione del lavoro più flessibile sulla base delle esigenze personali e della famiglia. Secondo uno studio del progetto europeo Elena (Experimenting flexible Labour tools for Enterprises by engaging men and women), le donne apprezzerebbero ancora di più degli uomini l’utilizzo dello smartworking e il maggior equilibrio di vita che ne consegue (7,94% rispetto al 5,4% dei dipendenti maschi). Inoltre, lo stesso studio dimostra che lo smartworking aiuta a ridurre le differenze di genere sul mercato del lavoro. Un esempio? «La ricerca dimostra che grazie al lavoro flessibile, gli uomini hanno dedicato più tempo alla cura dei figli. Come sappiamo, questo è un passo fondamentale per ridurre le disuguaglianze del carico di cura tra uomini e donne. I risultati confermano che, per ridurre i differenziali di genere sul mercato del lavoro, in particolare gli svantaggi delle madri, non basta la necessaria tutela dei diritti fondamentali, quali i congedi di maternità, ma è importante anche prevenire la penalizzazione che le madri subiscono sul lavoro» ha spiegato l’economista Paola Profeta, autrice dello studio.
Certo, le sfide sono ancora molte: dai pregiudizi di chi ancora guarda con diffidenza verso questo nuovo modello di lavoro (secondo i dati Eurostat l’Italia è uno dei Paesi europei più scettici verso il lavoro agile, nonostante solo nell’ultimo anno sono 1 su 2 le aziende italiane che hanno adottato lo smartworking, come Pirelli e Barilla), fino alla tecnologia mobile e la sicurezza dei dati. Non tutte le realtà infatti sono ancora attrezzate per sostenere questo tipo di modello, ma qualcosa oggi si sta muovendo: grazie alle nuove tecnologie come il centralino in cloud Cloudya lo smartworking non solo è più agevole, ma anche più conveniente. Lo ha capito anche la politica, che nella legge di Bilancio 2019, ha introdotto una norma che obbliga le aziende che adotteranno lo smart working a dare la precedenza alle domande presentate dalle lavoratrici nei tre anni dopo il congedo di maternità e ai lavoratori che hanno figli con disabilità.
Un piccolo passo in avanti, verso la parità che va fuori dall’ufficio.