È difficile conciliare vita privata e lavoro quando hai riunioni in teleconferenza e il bambino che ti urla dall’altra stanza, le connessioni sono lente, lo stress rischia di aumentare: queste, alcune delle resistenze che ne impediscono la piena e soddisfacente realizzazione. Ecco un piccolo vademecum per capire (e sfatare) i pregiudizi più diffusi sul lavoro flessibile a distanza.
1. Smart working e telelavoro sono la stessa cosa
Falso. Il telelavoro è solo la possibilità di svolgere parte dei propri task in remoto, ovvero da casa. Lo smart working è una modalità di lavoro assai più complessa: offre un modo nuovo di dividere la propria vita tra lavoro e tempo libero, un diverso modo di organizzare le priorità e di intendere le gerarchie. Lo smart working richiede, sia da parte dell’azienda che del dipendente, un approccio olistico al lavoro, una capacità di ripensarlo nella sua interezza, parcellizzarlo e di riorganizzarlo in base alle skill di una galassia di lavoratori flessibili e interconnessi. È una sorta di “rivoluzione” anche tecnologica, che va ben al di là dell’utilizzo del web. La comunicazione è il tessuto connettivo di questa riorganizzazione del lavoro: a NFON lo sappiamo bene, poiché studiamo e progettiamo prodotti espressamente pensati per questo nuovo ecosistema. Sia che si lavori da casa, da un ufficio, da un coworking o da una remota tenuta in campagna, se lavoreremo con le nuove modalità. E lo faremo sempre di più, avremo bisogno di una comunicazione “seamless”, senza strappi, capace di seguirci su dispositivi diversi in base ai movimenti della giornata.
2. Lo Smart working danneggia lo spirito aziendale
Falso. Da un’indagine del 2019 dell’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano, risulta che i lavoratori smart sono mediamente più soddisfatti dei colleghi che lavorano in modo tradizionale, si ritengono più orgogliosi dell’attività che svolgono (71% rispetto al 62%) e desiderano rimanere più a lungo in azienda (71% rispetto al 56%).
3. Lo smart working è una realtà di nicchia, che riguarda poche aziende
Falso. Sempre l’Osservatorio Smart Working fotografa una realtà che racconta di un numero crescente di grandi aziende private italiane che ha già cominciato a organizzarsi. Per buona parte di queste, il principale beneficio dello smart working è quello di avere una migliore e più snella organizzazione interna (il 46% del campione). Per molte aziende (il 59%), questa modalità di lavoro è il modo migliore per ingaggiare e fidelizzare nuovi talenti.
4. Lavorare da casa è logorante
Né vero, né falso. Dipende tutto dal lavoratore e dalla sua capacità di organizzarsi. La maggior parte delle aziende consente di lavorare in remoto per un massimo di quattro giorni alla settimana. Solo il 10% delle aziende prese a campione dall’Osservatorio Smart Working permette di lavorare fuori sede senza alcun vincolo. Bisogna poi uscire dalla mentalità che smart working significhi solo e soltanto lavoro da casa, magari in pigiama e facendo avanti e indietro con il frigorifero. Il 40% delle aziende intervistate permette agli smart worker di lavorare da dove preferiscono, con la possibilità di variare postazione a seconda dei bisogni: da casa, da uno spazio di coworking, da un luogo pubblico, da altre sedi aziendali sparse sul territorio o presso clienti e fornitori. In sintesi, poter programmare il proprio tempo in modo meno rigido e meno scandito da orari di lavoro che implicano spostamenti e perdite di ore preziose, è un vantaggio che si riflette sull’organizzazione della vita privata.
5. C’è un gap tecnologico ancora insormontabile
Falso. Lo smart working non è solo un fatto di interfacce e di agile circolazione dei dati. Come spiegavamo nel punto 1 il tessuto connettivo dell’intero ecosistema dello smart working è la comunicazione, basta usare i canali giusti e avere una visione lucida del lavoro da svolgere. La resistenza più forte all’adozione dello smart working viene da aziende ancorate a un sistema di “micro-managing” che tende a risolvere i problemi uno per uno, quando si presentano, senza una visione d’insieme. Un corretto approccio allo smart working porterà all’adozione di protocolli condivisi, che dovranno essere abbozzati dall’alto ma che saranno implementati dal talento e dalla capacità di reazione del singolo smart worker.